Novembre inizia
con due celebrazioni importanti, due momenti per riflettere e ricordare.
Il primo del mese si festeggiano i Santi ed il 2 è invece il momento di
ricordare chi non c’è più, una giornata ricca di significati
religiosi, che si fondono con antichi riti e credenze popolari. |
Un
po’ di storia non guasta.
Già
la cristianità primitiva era solita celebrare feste in onore dei Santi,
come testimoniano gli scritti di Tertulliano e di Gregorio di Nizza
(223–395 d. C.), ma solo le pagine scritte da Sant’ Ephraem (morto nel
373 d.C.) danno una sicura testimonianza della "festa celebrata in
onore dei martiri della terra" il giorno 13 maggio. La festa giunse a
Roma nel 609 d. C., quando papa Bonifacio IV dedicò il Pantheon di Roma
alla Vergine Maria ed a tutti i martiri. Nel tentativo di far perdere
significato ai riti legati alla festa celtica di Samhain, nell’anno 835
Papa Gregorio Magno spostò la festa di Ognissanti dal 13 maggio al primo
novembre. La stretta associazione con la commemorazione dei defunti,
celebrata il giorno successivo, fu istituita solo nel 998 d. C.: l’abate
Odilone di Cluny diede disposizioni per celebrare il rito dei defunti dopo
il primo novembre. In memoria dei cari scomparsi ci si mascherava da
santi, da angeli e diavoli e si accendevano falò. Fu Papa Sisto IV, nel
1474, che rese obbligatoria la solennità in tutta la Chiesa
d’Occidente.
I
primi freddi hanno il profumo di caminetti accesi e fanno venir voglia di
assaggiare il Pan dei Santi da provare visitando le campagne senesi o,
accompagnati da Vin Santo e da memorie di tempi lontani, il Ciaccino, una
schiaccia arricchita ottenuta aggiungendo al tradizionale impasto del pane
toscano il sale, il pepe, l’olio, lo strutto, le noci tritate e l’uva
passa, prodotto a Civitella Marittima, in provincia di Grosseto. La
specialità viene venduta esclusivamente in paese, non è infatti
reperibile al di fuori della zona.
Nella
tradizione popolare, le anime dei defunti tornano dall’aldilà ed i
dolci dei morti simboleggiano i doni che portano dal cielo e,
contemporaneamente, l’offerta di ristoro per il loro viaggio. Un modo
per esorcizzare la paura dell’ignoto e della morte. Nasce così la
tradizione culinaria della Festa dei Morti. In giro per l’Italia sono
tanti i dolci tradizionali che si preparano per la commemorazione dei
defunti. I "seni della Vergine" sono dolci tipici siciliani a
forma di mammelle, ripieni di zuccata al gelsomino, insieme alle
"mani": un pane ad anello con un unico braccio che unisce le due
mani. "Le dita di Apostolo", dolci di pasta di mandorle farciti
con marmellata di cedro, ricordano la forma delle dita di una mano e si
preparano in Calabria. I "cavalli" sono grandi pani a forma di
cavallo che si cucinano in Val Passiria (Alto Adige).
In
Umbria si producono tipici dolcetti devozionali
detti Stinchetti dei Morti, che si
consumano da antichissimo tempo nella ricorrenza dei defunti quasi a voler
mitigare il sentimento di tristezza e sostituire le carezze dei cari che
furono.
Gli
stinchetti riproducono in marzapane tibie umane, la qual cosa faceva
scrivere a Paul Valéry nel suo libro L’Italie confortable:
«Cet horrible bonbon, qui a sa moelle comme les ossements humains,
rappelle, par sa forme et son nom, l’ancienne réputation de férocité
des habitants, heureusement fort adoucie!».
Evidentemente
il Valéry ignorava che il mondo dei dolci in Umbria e in Italia è
dominato dalla magia simpatica e che nel caso specifico degli stinchetti
c’è una concezione animistica secondo la quale il mangiare le
riproduzioni fortifica l’organo riprodotto.
Ci
sono, poi le Fave dei morti: è
consuetudine preparare queste piccole paste dolci per il 2 novembre,
giorno della commemorazione dei Defunti. L'uso delle fave nei riti
dei morti affonda le sue radici nel mondo classico e sembra spiegabile con
il colore del fiore, che è bianco maculato di nero.
Il
nero, simbolo del mistero, è molto raro tra i vegetali. Le macchie,
inoltre, sembra che siano disposte a forma di "tau" greca, la
prima lettera di "tanatos", che significa morte.
Soprattutto
le fave nere erano considerate offerte funebri, poiché si riteneva che in
esse si racchiudessero le anime dei trapassati. Inoltre si riteneva che
attraverso il gambo di questa pianta, che non ha nodi, passassero le anime
dei morti, che non avevano trovato pace, dall'Ade al mondo degli uomini.
Durante
le cerimonie funebri, venivano sparse fave sul feretro e gli schiavi se le
buttavano alle spalle, lamentando la perdita del padrone. Erano sempre
fave quelle che si offrivano alle Parche, a Plutone, a Proserpina.
Sembra
addirittura che gli Egiziani, oltre a non mangiarle, non le toccassero e
che i sacerdoti, come pure quelli di Giove, non osassero nemmeno guardare
le piante, tanto le ritenevano immonde.
Ovidio
nei "Fasti" descrive che durante i "Lemuralia", feste
in onore dei defunti, il "pater familias" percorreva di notte la
casa, facendo offerte di fave nere agli spiriti degli antenati, intanto
che le gettava dietro alle spalle.
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Perugia
come avviene ormai da secoli, anche quest'anno, dal 1 al 5 novembre,
ospita la Secolare Fiera dei Morti, le cui origini risalgono al Medioevo,
quando veniva chiamata Fiera di Ognissanti, così come testimoniano alcuni
documenti del 1260.
Nonostante
in Umbria mancassero rilevanti vie di collegamento e di sbocchi marittimi,
ricco era il calendario delle attività fieristiche e mercantili della
regione ed in cui si inseriva anche quella di Perugia. Generalme le fiere
promuovevano la commercializzazione dei prodotti agricoli e del bestiame;
infatti, si svolgevano nel periodo estivo e autunnale, sia per la
disponibilità dei prodotti agricoli raccolti che per consentire alla
popolazione locale il rifornimento prima delle difficoltà invernali.
Giochi
di antica tradizione accompagnavano la Fiera di Ognissanti di Perugia: la
caccia al toro, la corsa dell’anello e la corsa del palio o della
quintana. Tuttavia, col passare del tempo, tali tradizioni si sono fatte
più rare fino a scomparire del tutto, per poi essere sostituiti negli
ultimi decenni con la presenza del luna park, presenti in modo esteso e
significativo nell’area fiera.
A
partire dal ‘600 la Fiera di Ognissanti verrà denominata dei defunti,
mentre nell’800 prenderà il nome attuale di Fiera dei morti, come per
attenuare il sentimento di tristezza comunque presente nella memoria dell’assenza.
Il rituale della festa prevede addirittura l’usanza di mangiare dolci
denominati stinchetti, ossa dei morti, fave dei morti.
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Al
giorno d'oggi la Fiera dei morti è molto sentita nella popolazione, tant'è
che difficilmente un perugino non faccia almeno una visita alla fiera e
non acquisti qualcosa. La Fiera, tuttavia, richiama anche visitatori dalle
città vicine, grazie anche all'incremento di qualità dell’offerta
commerciale, tesa a proporre prodotti tipici, rari e di provenienza
locale.
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In
Sardegna ogni anno si ripete la tradizionale "Is panixeddas"
(piccola offerta). La mattina del 2 novembre i ragazzi si recano per le
piazze a chiedere l’offerta e ricevono in dono pane fatto in casa, fichi
secchi, fave, melagrane, mandorle, uva passa e dolci. La sera della
vigilia si accendono i lumini e si lascia la tavola apparecchiata e le
credenze aperte.
In
Sicilia la ricorrenza è ancora molto sentita e viene vissuta come
un momento di legame e di contatto con i cari defunti. Il 2 novembre
nell’isola infatti, si fa una gran festa: scuole chiuse per almeno due
giorni, grandi luminarie, bancarelle stracolme di giocattoli che verranno
acquistati e nascosti in casa. Si racconta infatti, che nella notte tra
l’1 ed il 2 novembre i morti lascino le loro sepolture e, in gruppo o
anche da soli, girino per la città a rubare dolci, giocattoli, scarpe e
vestiti nuovi per portarli ai loro piccoli parenti che sono stati buoni
durante l’anno e che hanno pregato per loro. Li morti infatti, è
soprattutto la festa dei bambini che, sperando di ricevere i doni che
desiderano, pregano per propiziarsi i favori dei defunti recitando la
seguente preghiera: Animi santi, animi santi, Io sugnu unu e
vuiautri síti tanti: Mentri sugnu 'ntra stu munnu di guai Cosi di morti
mittitimìnni assai. Quando i fanciulli sono a dormire, i genitori
preparano i tradizionali "pupi di zuccaro" (bambole di zucchero
o puppacena), con castagne, cioccolatini e monetine e li nascondono. Al
mattino i bimbi iniziano la ricerca, perché durante la notte i morti
"sono usciti dalle tombe" per portare i regali.
In
Abruzzo, oltre all’usanza di lasciare il desco apparecchiato, si
lasciano dei lumini accesi alla finestra, tanti quante sono le anime care,
ed i bimbi si mandano a dormire con un cartoccio di fave dolci e confetti
come simbolo di legame tra le generazioni passate e quelle presenti.
In
Liguria la tradizione vuole che il giorno dei morti si preparino i
"bacilli" (fave secche) e i "balletti" (castagne
bollite). Tanti anni fa, il giorno della vigilia del giorno dedicato ai
defunti i bambini si recavano di casa in casa per ricevere il "ben
dei morti" (fave, castagne e fichi secchi), poi dicevano le preghiere
ed i nonni raccontavano storie e leggende paurose.
Ma
perché le fave sono così ricorrenti? I morti erano venerati perché da
loro nasce la vita, come dai semi nasce il frutto. La gente presumeva che
nei semi delle fave nere si ritrovassero le lacrime dei trapassati.
Diversi gli antichi riti: uno, fatto per implorare la pace ai morti,
consisteva nel cospargere di questi legumi le tombe; l’altro, eseguito
per scaramanzia, era realizzato gettandosi le fave dietro alle spalle e
recitando le parole: "Con queste, redimo me ed i miei".
Nonostante ciò, le fave costituivano anche l’alimento più emblematico
della ricorrenza. Nei festini mortuari, per scopi propiziatori, venivano
offerte ai poveri che le mangiavano crude (perché cotte erano di
pertinenza dei benestanti). In epoca cristiana, nelle ricorrenze dei Santi
e dei Morti, le fave diventarono cibo di precetto nel 928 quando, Oddone
abate di Cluny, ordinò che ogni anno il 2 novembre si commemorassero i
defunti con speciali orazioni, e, affinché i monaci riuscissero a
vegliare l’intera notte in preghiera, l’abate concesse una razione
speciale notturna di fave.
In
Friuli e Trentino si
lascia un lume o il focolare acceso, un secchio d’acqua e un po’ di
pane e le campane suonano per molte ore a chiamare le anime che, si dice,
si radunino intorno le case a spiare alle finestre.
Nel
Veneto, per scongiurare la tristezza, nel giorno dei morti gli
amanti offrivano alle promesse spose un sacchetto contenente le fave in
pasta frolla colorata, i cosiddetti "ossi da morti".
A
Roma la tradizione voleva che, il giorno dei morti, si consumasse il
pasto accanto alla tomba di un parente per tenergli compagnia. Altra
tradizione era una suggestiva cerimonia di suffragio al lume delle torce
per le anime che avevano trovato la morte nel Tevere.
In
Valle d’Aosta ed in Piemonte
le famiglie lasciano ancora imbandito il desco e si recano a far visita al
cimitero: si crede che dimenticare questa abitudine significa provocare
tra le anime un fragoroso tzarivàri (baccano).
In
alcune zone della Lombardia, ma
anche in Campania, la notte tra
l’1 e il 2 novembre si suole ancora mettere in cucina un vaso di acqua
fresca perché i morti possano dissetarsi. Nelle campagne di Cremona ci si
alza presto la mattina e si rassettano subito i letti affinché le anime
dei cari possano trovarvi riposo. Si va poi per le case a raccogliere pane
e farina con cui si confezionano i dolci tipici (ossa dei morti).
A
Salerno viene tradizionalmente organizzato, presso il Cimitero, nel
luogo dell’ultima dimora terrena dei salernitani, dove il dolore si è
trasformato in pace, un concerto di musica sacra.
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Stinchetti
Ingredienti:
parte esterna (pasta reale): zucchero, albume d’uovo, colla di
pesce; parte interna: mandorle (dolci e amare), zucchero o miele, cacao,
cannella, vaniglia, scorza grattugiata di limone, albume d’uovo, ostie.
Lavorazione:
si montano gli albumi con lo zucchero e la colla di pesce come per una
glassa; si impasta sul piano di marmo fino ad ottenere una pasta
consistente ed omogenea. Intanto vengono tostate le mandorle, tritate
finemente, si uniscono lo zucchero, il cacao, il pizzico di cannella, la
scorza grattugiata del limone e la vaniglia e si impasta il tutto con
l’albume d’uovo. Si saranno ottenuti così due impasti: l’uno
bianco, l’altro nero, dai quali vengono prese, per ogni stinchetto, due
palline di grandezza diversa, più grande la bianca con la quale si otterrà
un disco di 5-6 cm di diametro al centro del quale si porrà una pallina
nera delle dimensioni di una noce. Queste due palline vengono arrotolate
con le mani in modo che combacino, il tutto viene esteso per ottenere un
cilindro di circa 10 cm. di lunghezza, si schiacciano le estremità per
dare la forma di una tibia (ossi di stinco). Si fanno asciugare su teglie
ricoperte di ostie per un giorno. Una volta asciugati, gli stinchetti si
cuociono in forno a temperatura media per circa 15-20 minuti.
Conservazione:
il prodotto non si mantiene a lungo; va conservato in luogo fresco e
asciutto per 2-3 giorni al massimo. |

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Fave
dei morti
Preparazione:
Ingredienti:
mandorle dolci e mandorle amare, albume d’uovo, zucchero, buccia di
limone grattugiata.
Lavorazione:
si spellano le mandorle dopo averle scottate in acqua bollente, si
tostano e si tritano finemente. Si impastano (a mano o in impastatrice) le
mandorle con gli albumi d’uovo lo zucchero e la buccia grattugiata di
limone, si formano delle palline che vengono leggermente schiacciate a
forma ovale, si sistemano in teglie da forno unte e spolverate di farina,
si cuociono in forno a 180°C per circa 10/15 minuti.
Il
prodotto fresco va conservato ad una temperatura di circa 6°/8° C per
2/3 giorni al massimo. |
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